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Editoriale

Colantuono non mangia il panettone. Natale indigesto per gli allenatori granata

È uno degli slogan più vecchi, ma sempre in voga nel mondo del calcio. Soprattutto a Salerno. Quando un allenatore inizia l’avventura sulla tonda della nave granata, il leit motiv dei primi di settembre è se mangia o non mangia il… panettone. Chiaro il riferimento alla capacità di riuscire ad arrivare a Natale ancora sulla panchina della Salernitana. O se venga esonerato prima, insomma. Con Lotito e Mezzaroma a capo del club granata oramai da otto anni – e Fabiani, nelle vesti di dirigente plenipotenziario, in loco da più di un lustro – il destino degli allenatori è sempre stato in bilico: costellato di insidie, di scelte discutibili, di rose (o presunte tali) che non sbocciano, di terreni… “aridi” o poco fertili e di tanto altro ancora. Minato, perché no, anche dalla presenza a volte ingombrante della proprietà: l’imperatore Claudio non è uno che le manda a dire e, nel tempo, le sue parole al vetriolo sono state come il pollice verso per un “gladiatore” nell’arena… dell’Arechi. Il tutto senza dimenticare la pressione di una piazza calorosa ed esigente come quella di Salerno.

Numeri alla mano Lotito, Mezzaroma e Fabiani hanno la triste fama di mangia-allenatori. Fatta eccezione per la sola prima esperienza di Carlo Perrone sulla panchina dell’allora Salerno Calcio, infatti, la proprietà capitolina ha sempre cambiato in corsa la guida tecnica. Alle volte con degli indovinati (e graditi…) ritorni, altre addirittura con più di un cambio in una sola stagione. Non sempre con successo. Sta di fatto che da quando ci sono i due co-patron, la Salernitana ha sempre voltato pagina (per sette volte) a stagione in corso. Sempre colpa del “manico”, come ama definire Lotito l’allenatore delle sue squadre di club. Da Galderisi al Perrone bis (nella stagione poi stravinta di C2 2012-13); da Sanderra (dopo il gran rifiuto di Perrone prima di partire per il ritiro di Chianciano) a Perrone ter ed ancora a Gregucci (dopo l’arrivo di Fabiani a Salerno) nella stessa stagione (2013-14); da Mario Somma a Menichini (2014-15); da Torrente al ritorno di Menichini (2015-16) con tanto di salvezza ai play out con il Lanciano; da Sannino a Bollini (2016-17); da Bollini a Colantuono (2017-18).

E siamo all’oggi. Colantuono è finito sulla graticola. Le tre sconfitte di fila pesano come un macigno e sembrano insopportabili per il modo i cui sono arrivate, per il valore degli avversari affrontati e per chi ha contribuito a causarle. Già, i colpevoli. O il colpevole… Un altro tema inflazionato nel mondo pallonaro è che a pagare sia sempre l’allenatore. Per il momento, però, la Salernitana ha deciso di non decidere. Di temporeggiare. Di traccheggiare. Rischiando così di aumentare lo stato confusionale di tutte le sue componenti. Dal tecnico ai giocatori. Il management granata, dopo la sconfitta di ieri contro l’ex fanalino di coda Carpi, ha deciso di spedire tutti in ritiro a San Gregorio Magno, imponendo il silenzio stampa ed annullando la cena sociale di Natale. Ecco perché Colantuono non mangia il… panettone. Almeno alla cena sociale. Ma non lo mangia neppure la squadra. E neppure la dirigenza. Insomma nessuno. Il tutto, in attesa degli eventi. Intanto ci si guarda intorno, si sondano possibili scenari, papabili, eventuali sostituti. Il solito refrain, verrebbe da dire. E proprio questo, però, è il virus che rischia di infettare un intero organismo. Se la società ha deciso di andare avanti con Colantuono che lo faccia! Senza esitare. Senza se e senza ma. Blindando di fatto l’allenatore ed eventualmente individuando quelli che sono i punti deboli (in chiave mercato di riparazione) o le (eventuali) mele marce. E prendendo provvedimenti. Altrimenti agendo di conseguenza. Altrimenti si rischia un’agonia che non fa bene a nessuno. A partire dagli stessi protagonisti, fino ad arrivare all’ambiente e ai tifosi. Non proprio il massimo a Natale.

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