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Editoriale

“Ei fu”, cronaca del 5 maggio granata. Squadra (sola) alla gogna e quei problemi di leadership…

La settimana più lunga, con un senso di vuoto. All’ottava sconfitta nelle ultime dieci partite, quell’immagine del cancello che separa la squadra dai tifosi, accompagnata dal solo Salvatore Avallone a mezzanotte inoltrata, è specchio fedele della situazione in cui versa la Salernitana nell’anno del centenario. Sempre più sola. I calciatori, pure responsabili, a prendersi “fischi e pernacchi” (per usare un eufemismo), l’allenatore davanti a microfoni e taccuini per “metterci la faccia e prendersi le responsabilità”. Dirigenza e proprietà, invece, non pervenute. Il direttore Fabiani è andato via prima della fine della partita; il suo alfiere, Alberto Bianchi non ha partecipato al faccia a faccia squadra-ultras; mentre Lotito e Mezzaroma – sebbene annunciati sugli spalti – hanno preferito disertare il principe degli stadi. Staff medico e qualche giocatore infortunato che sgattaiolano via attraverso la sala stampa, a notte inoltrata, in silenzio e senza neppure abbozzare un cenno di saluto (questione di stile…) come a voler guadagnare l’uscita senza dare nell’occhio.
Gli ultimi due mesi sono andati avanti così, tra spaccature, incontri, striscioni, comunicati e promesse (anche di scuse) rimaste tali. Oggi, con la squadra a serio rischio finanche della retrocessione diretta, suonano quasi come una beffa. Oltre al danno, naturalmente. In un momento del genere sarebbe stato auspicabile vedere assieme alla squadra anche chi l’ha costruita, chi ha guidato le operazioni di ogni genere (dal mercato alla comunicazione-chiusura con l’esterno), ma soprattutto chi è al vertice del club. Che troppe volte, quando i risultati non hanno sorriso, ha preferito andar via (vedi il 2-5 col Carpi) o non esserci.
La Salernitana ieri, soprattutto nel secondo tempo, non è stata capace di costruire un’azione da gol degna di questo nome in 88′ contro un avversario già in infradito e, per la verità, parso piuttosto “stanco” in alcuni suoi elementi che hanno graziato i granata sull’1-1. Perché nessuno è intervenuto quando, già nel dopopartita di Salernitana-Crotone (0-2), Gregucci parlava di “problema psicologico della squadra”? Sarebbe bastata qualche operazione simpatia, una presenza più rassicurante della proprietà al campo di allenamento al fianco della squadra, anche solo a livello di immagine. Anche solo una volta a settimana. La situazione è precipitata, alle difficoltà l’unica risposta è stata la chiusura che ha portato paura e instabilità evidentissime nelle ultime esibizioni del cavalluccio marino. “È la testa che fa le gambe. Non ha senso parlare del dato tattico, in questo momento siamo una squadra in difficoltà, non riusciamo a far girare palla fluidamente”, dice Gregucci. Ha ragione, al netto delle sue responsabilità tecniche pur rilevanti. Si aspettava ben altro dal mercato e, probabilmente, anche di essere spalleggiato da dirigenza e proprietà. Nei fatti, è stato lasciato solo anche lui. A precisa domanda, il trainer glissa: “Io devo pensare a fare il mio dovere, non ad altro”. Intanto, il tempo passa ed ormai… è passato.

La Salernitana ha dilapidato un buon margine sulle concorrenti per la salvezza si è ritrovata a scherzare col fuoco. Quell’asticella che avrebbe dovuto alzarsi, si è progressivamente abbassata. Tutti, nessuno escluso, braccia conserte a guardarla scendere. Affondare. Inabissarsi. Un pizzico di supponenza, la mancanza di chiarezza e dialogo, il consueto scaricabarile sulle responsabilità di una stagione dapprima al di sotto delle aspettative, poi deludente e adesso quasi drammatica. Se i giocatori, nel faccia a faccia coi tifosi della notte, hanno chiaramente detto di “avere problemi con la società” e “sentirsi soli”, per sintetizzare i messaggi, un problema ci sarà. Claudio Lotito e Marco Mezzaroma, alla luce di quanto prodotto in 37 giornate di campionato, dentro e fuori dal campo, hanno clamorosamente toppato, insieme a Fabiani. E con una sola partita di regular season da giocare, si spera solo quella, hanno adesso il compito di provare a ricomporre i cocci, resettare, tentare mosse nuove, spiegare. Non certo voltare la faccia.

Un ambiente diviso e spaccato (anche ieri battibecchi tra tifosi stessi della Salernitana all’uscita dalla tribuna, mentre nel prepartita qualche vecchio trombone aveva invano provato ancora una volta a scaricare le responsabilità su parte della stampa) era l’ultima cosa utile nell’anno del centenario e in un momento del genere. Invece, eccolo lì. Il 2018/19, sarà certamente ricordato per gli sbalzi d’umore anche di una torcida che non ha più – da tempo – nessuno che possa affermare di essere rappresentante (o uno dei rappresentanti) della tifoseria. Sia essa organizzata o ultras. Perlomeno da quando c’è l’Arechi, sembra trattarsi del periodo più nero della storia del tifo a Salerno. Plateali segnali, da mesi, danno la dimensione della situazione. Un percorso fatto di dietrofront, colloqui a casa della proprietà, fiumi di comunicati, frecciate social, chi entra e chi esce, chi canta e chi no. Il dato che emerge è inequivocabile: c’è un serio problema di leadership, oltre a una disunione che non fa onore a quello che la tifoseria della Salernitana ha rappresentato negli anni d’oro, i fantastici Novanta, fino a poco tempo fa. Una tifoseria spaccata è una tifoseria debole e adesso che il momento è duro e certamente fa male a tutti, è semplice rendersene conto. Tanti club (rappresentativi spesso di poche decine di iscritti), tante posizioni, frammentazione continua e non una possibilità che qualcuno possa incarnare una figura trascinatrice, in grado di mettere d’accordo tutti in momenti delicati come quello attuale, dal punto di vista ambientale. A tenere banco è proprio il famigerato “amore per la maglia e per la Salernitana”, il comune denominatore che sulla carta dovrebbe unire tutte le componenti. Dipende da come lo interpreti, se lo strumentalizzi, se lo confondi con sguaiati e sterili personalismi che portano taluni soggetti a scambiare la passione per la propria squadra del cuore per attività giornalistica, oppure confondendola con un modo di apparire in salotti tv e social, o ancora utilizzandola per ambire ad avere il cavalluccio marino cucito sul petto o tatuato sul corpo, per qualche mania di protagonismo. Assumendo, chiaramente, la posizione più comoda al momento opportuno e conveniente. Spesso, anche due contemporaneamente. C’è un problema di commistioni pericolose che non aiutano a leggere con obiettività tra le righe degli accadimenti. La logica del “divide et impera”, così come (ahinoi) per la categoria della stampa che è stata colpevolmente la prima a spaccarsi al suo interno per motivi probabilmente simili a quelli sopracitati per il fronte tifoseria, sta divorando anche la passione della gente. Quella che quindici anni fa – panino in borsa e sciarpa al collo – un’ora prima della partita era già al suo posto all’Arechi anche senza sediolini, sostituiti da fogli di giornale sapientemente portati da casa e distribuiti agli amici che ne erano sprovvisti. Senza che nessuno si lamentasse, con la radiolina accesa per soffrire “meglio”.

Evitando di far ricorso ad abusatissimi leit motiv (“Remare nella stessa direzione” è pluripremiato, a tal proposito), inizia la settimana più lunga in un contesto sportivo e ambientale logorante per chi l’ha amata ieri, la ama oggi e la amerà fino all’ultimo giorno della propria vita. Perché Lei – e solo Lei, non calciatori, allenatori, dirigenti o presidenti – ci sarà sempre. E ricorderà tutto.

 

Eugenio Marotta – direttore

Alfonso M. Avagliano – vicedirettore

Mauro Mazzarella – caporedattore

1 Commento

1 Commento

  1. Michele

    06/05/2019 at 12:33

    Se mi posso permettere oltre all’operazione simpatia sarebbe stato opportuno sollevare dal incarico Gregucci per le dicarazioni post Crotone è ovviamente Fabiani diventato troppo divisorio con parte della tifoseria è parte della stampa…

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