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#NonTiScordarDiMe. Belluzzi: “Correvo e non finivo più! Quella sera al San Paolo da capitano…”

Novantanove partite e 11 gol con la Salernitana tra il 1983 e il 1986, qualcuna in più con la Reggina un po’ di tempo prima (nel triennio 1974/77, cinque reti in 103 apparizioni). Tra i doppi ex vintage della sfida di lunedì sera al Granillo c’è sicuramente Giuliano Belluzzi: classe 1954, centrocampista tutto polmoni e grinta col vizietto del gol, che di Salerno conserva ancora un ricordo intenso. Attualmente vive a Riccione e non molto lontano, a Cattolica, ha una scuola calcio. “Insieme ad alcuni amici provo a forgiare i più giovani, nella speranza che qualcuno possa togliersi qualche soddisfazione. Ma il calcio di oggi non è più quello di quarant’anni fa”, dice ai nostri microfoni.

Il gol di Belluzzi al Foligno (immagine dal volume “Salernitana, storia di gol, sorrisi e affanni” di G. Vitale”)

Ma chi era Belluzzi in campo? “Un giocatore che ai tempi dava l’anima e metteva tutta la sua buona volontà – dice l’ex granata sorridendo – Ho sempre cercato di aiutare i miei compagni, ero un elemento di sacrificio e corsa. Iniziavo a correre dal primo minuto e non finivo più, il mio tipo di gioco era questo. Rompevo e nello stesso tempo cercavo di costruire le azioni. Il presidente Japicca mi volle fortemente. Venivo da cinque campionati di Serie B in cui ogni anno avevo fatto le mie 35-36 partite: voleva andare in cadetteria e Salerno lo avrebbe meritato. Ma in tre anni, partendo sempre con questo obiettivo, non ci riuscimmo mai. Tra alti e bassi, qualche infortunio e forse la mancanza di giocatori fummo costretti sempre a rinunciare a questa soddisfazione”. A marzo Belluzzi compirà 67 anni. Il ricordo della sua prima in campionato al Vestuti è nitido e non potrebbe essere altrimenti, vista la… presentazione. Era il 18 settembre 1983: Prima giornata, battiamo il Foligno 1-0 con mio gol. Fu una giornata bellissima che alimentò anche le speranze di promozione, poi disattese. Quello stadio era in grado di trasformarti quando scendevi in campo, cambiava tutto. Il fattore campo significava tantissimo: già trovare campi in erba, in quella Serie C, era raro. Ricordo trasferte ad Agrigento e Trapani, ad esempio, molto particolari”. Belluzzi è nato a Schivenoglia, nel mantovano. Un lombardo che aveva conosciuto il sud già a Reggio Calabria, appena ventenne, dopo gli esordi nel Varese: “Reggio Calabria era molto simile a Salerno: stessa passione, stesso pubblico meraviglioso, ambiente bello che ti faceva sentire più forte quando uscivi dagli spogliatoi. Avevamo una buona squadra lì, con Regalia in panchina e proprio Oreste Granillo alla presidenza. Ma come a Salerno, anche in quel caso si programmava invano la salita in B, trovandosi poi di fronte alle difficoltà. Però va detto che al meridione la gente ti portava ad essere più attaccato alla maglia e a dare più di quello che avevi, sempre“.

Un’immagine dell’ex centrocampista è venuta fuori di recente in occasione della scomparsa di Diego Armando Maradona: raffigura Belluzzi insieme ad altri compagni con il Pibe de Oro al termine di Napoli-Salernitana, Coppa Italia 1985. Quella sera al San Paolo io ero il capitano dei granata. Scambiare il gagliardetto con Maradona, uno dei più grandi della storia, e giocarci contro è stato indimenticabile, un onore. Dovevamo giocare al Vestuti, poi per esigenze di pubblico fu stabilita l’inversione di campo. Credo che tutto sommato anche per i tifosi salernitani sia stata una cosa meravigliosa”, ricorda Belluzzi prima di tornare al gruppo. Anzi, ai gruppi.

Giuliano Belluzzi con Corrado Liguori, all’epoca medico sociale granata (foto tratta dal volume “Salernitana, storia di gol, sorrisi e affanni” di G. Vitale”)

Ha lavorato con Facco, Ghio e Sereni in panchina. “Tra i compagni a Salerno ero amico un po’ di tutti, ma ai tempi con Chiancone e Leccese ci trovavamo più spesso a casa mia, a Vietri sul Mare, e organizzavamo qualche serata per cercare il gruppo, giocando a carte per cementare il gruppo. Eravamo molto affiatati anche con Oriano Boschin. – prosegue – C’era Zaccaro che… la buttava sempre dentro. Peccato, perché uno come lui avrebbe potuto sicuramente aspirare a una carriera migliore. Ma anche Totò De Vitis è stato con noi, un fior di attaccante. Una partita che ricordo volentieri? L’1-1 col Palermo nel secondo anno: al Vestuti, gremito, scendeva in campo il Palermo favoritissimo per la vittoria del campionato e pareggiamo con un mio gol”.

E la Salernitana di oggi? “La seguo sempre. Ammetto che ogni tanto mi fa pure arrabbiare, come qualche settimana fa con le sconfitte di fila. Adesso per fortuna si è ripresa con la vittoria sul Pescara: non sono mai stato all’Arechi da quando l’hanno costruito e mi piacerebbe venire presto a vedere una partita; è un po’ di tempo che non scendo a Salerno. Lunedì sera vedrò sicuramente Reggina-Salernitana e speriamo bene: la Salernitana meriterebbe di andare in A, sono legatissimo alla piazza. Conservo ancora la maglietta dell’epoca, con la scritta ‘Antonio Amato’ sul petto, a casa di mia madre”.

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