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#NonTiScordarDiMe. Calà Campana, dalla B alla Motorizzazione: “A Salerno in panca per non essere riscattato”

Riuscì a disputare 12 partite tra campionato e Coppa Italia nell’annata 99/2000 (una anche all’inizio del torneo successivo, prima di essere ceduto all’Avellino), ma non riuscì a ritagliarsi lo spazio che sognava in granata. Gaetano Calà Campana oggi ha 42 anni e fu acquistato dalla Salernitana, giovanissimo, dal Catania. Era l’estate del 1999, i campani erano appena retrocessi dalla A alla B e l’allora diesse Peppino Pavone, sempre attento all’evoluzione dei giovani nelle categorie minori, pescò il centrocampista siciliano che si era messo in evidenza al Catania, in Serie C2, disputando 29 partite nel biennio 1997/99. A distanza di ventuno anni, Calà continua a divertirsi col calcio in Prima Categoria, si dedica alla famiglia e lavora alla Motorizzazione Civile come tecnico per le revisioni.

“Ora abito in Toscana, vicino Siena, dove mia moglie lavora. Mi ha seguito per tanti anni lei, era giusto che lo facessi io. Non ho abbandonato il calcio del tutto, alleno e gioco in Prima Categoria allo Staggia, ma da cinque anni lavoro anche alla Motorizzazione. Ho sfruttato gli studi che ero riuscito a portare a termine durante la mia carriera da calciatore professionista”, dice di sé l’ex centrocampista granata. Nel 2011 l’ultima stagione in D all’Acireale, dopo aver vestito anche le maglie di Avellino, Cesena, Juve Stabia, Paternò, Teramo, Lanciano, Padova, Nocerina e Colligiana in Serie C. Dopodiché si è dedicato alla famiglia, divertendosi tra i dilettanti. “Quando ti nascono i figli sei obbligato a mettere da parte calcio professionistico che comporta grossi sacrifici. Una cosa è spostarsi da soli, un’altra con tutta la famiglia. E se a 33-34 anni giochi in C, senza guadagnare grosse cifre e per giunta con l’obbligo di discutere sempre con le società per avere quanto ti spetta, allora è giusto essere realisti e fare qualcosa di diverso, continua Calà Campana, che parla dell’esperienza di Salerno come “una delle soddisfazioni più grandi a livello calcistico”.

Oggi custodisce gelosamente la maglietta numero 27 del suo primo e unico anno in serie B. Lo volle in Campania il trainer Cadregari. “Mi aveva già visto, avevo conquistato la promozione in C1 col Catania e potevo andare alla Fiorentina o al Cagliari, ma scelsi Salerno perché l’allenatore credeva nei giovani. Una volta in campo entrava solo chi riusciva veramente a farsi valere, oggi è diverso, il livello si è tanto abbassato anche a causa delle regole che impongono gli under e delle circostanze economiche. Molti presidenti non hanno la dignità che avevano quelli dei vecchi tempi che andavano a morire pur di tener fede agli impegni. – afferma Calà – Aliberti è stato un grande presidente, io mi sono trovato benissimo, era uno di quelli che di dignità ne aveva tanta. Non mangiava pur di sistemare la squadra, è andata a rotoli la sua situazione proprio per questo, perché ha messo tutto quello che aveva nella Salernitana e quando non ne ha avuto più, è crollato. Con lui mi sono trovato benissimo, insieme al segretario Abagnara che era il punto forte della società”.

A ferragosto del ’99 l’esordio con la Salernitana all’Arechi, in Coppa Italia contro il Napoli. Un discreto minutaggio nella kermesse tricolore, poi solo 7 presenze in campionato. “Ero stato acquistato in comproprietà e c‘era una clausola che prevedeva il riscatto obbligatorio e molto costoso per la Salernitana se avessi superato un certo numero di presenze in campionato. Ho giocato poco per questo, me lo disse in faccia Gigi Cagni quando venne esonerato. – racconta Calà Campana – La mia situazione era ambigua, mi faceva giocare quando aveva bisogno veramente, in tante altre occasioni invece sono rimasto in panchina. Ho legato con tutti quell’anno, c’era Stefano Guidoni che ci faceva da chioccia, ci portava sempre in giro, stavamo spesso a casa sua. Conservo un bel ricordo anche di Giacomo Tedesco e del grande Claudio Grimaudo: venne a chiudere la carriera, senza di lui spogliatoio era morto”. Dopo Salerno, Aliberti lo dirottò ad Avellino: “Lui era entrato in società e mi chiese di andare lì, visto che avevano rinnovato la comproprietà col Catania ma il nuovo allenatore Oddo aveva in mente di portare a Salerno qualche giocatore suo. Rimpianti non ne ho, tutto ciò che ho fatto l’ho fatto serenamente, non ho mai avuto pressioni da parte di nessuno. Dopo Avellino andai a Cesena, poi la Salernitana decise di non acquistarmi più a titolo definitivo e, non potendo rinnovare la comproprietà, tornai in Sicilia: mi chiamò Pasquale Marino, era stato mio compagno al Catania ed era alla sua seconda stagione da allenatore del Paternò che aveva appena vinto il campionato di Serie D. Andammo subito in C1 e quella fu un’altra grande soddisfazione sportiva per me”.

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