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#NonTiScordarDiMe. L’accordo con l’Avellino e l’arrivo al Jolly Hotel: l’avventura granata del talento Louhenapessy

Una grande promessa del calcio olandese a Salerno. È la storia di Elijah Louhenapessy, per gli amici ‘Eli’. Centrocampista classe ’76, nato e cresciuto ad Amsterdam e prodotto del vivaio dell’Ajax, condivise lo spogliatoio con gente del calibro di van der Saar, Overmars, Kluivert, Babangida e i fratelli De Boer, allenato da un certo Louis van Gaal che lo fece esordire in campionato il 17 novembre del 1996 nella sconfitta con il Nac Breda.

Lo nota l’Udinese, formazione in ascesa del calcio italiano, e decide di acquistarlo. Un’esperienza, quella friulana, che lo porterà anche a Salerno: “Arrivai all’Udinese nel 1997 firmando un contratto di quattro anni – Ricorda Louhenapessy ai nostri microfoni – L’allenatore era Zaccheroni, la squadra era in Coppa Uefa e in rosa c’erano calciatori come Bierhoff, Amoroso, Poggi, Calori, Walem, Giannichedda. Ero giovane, avevo voglia di giocare, la squadra era completa e quindi fui mandato in prestito al Genoa dove sono stato bene. Eravamo in Serie B con mister Burgnich (alla Salernitana nella stagione 1991/1992 ndr) e giocai diverse partite facendo bene segnando anche un gol a Lucca. Mi sono divertito a Genova, lo stadio Marassi è incredibile, c’era davvero un bel clima”. A Genova poteva aprirsi un ciclo positivo ma non andò così: “L’allora presidente Massimo Mauro a fine stagione voleva confermarmi ma non fu trovato l’accordo e quindi tornai all’Udinese”.

E così, dopo due anni, iniziò l’avventura a Salerno:” Tornato dall’Olanda (prestito al De Graafschap ndr) ero in attesa di una nuova squadra e il mio agente Raiola aveva combinato con l’Avellino che giocava in C1. Accettai anche perché non avevo molto mercato ma prima della partenza Mino mi disse: ‘Vai in Serie B a Salerno’. Arrivai con l’aereo a Napoli e presi un taxi per spostarmi a Salerno. Inizialmente alloggiavo al Jolly Hotel, ricordo il mare e che c’era sempre il sole. Era una realtà completamente diversa, dal Friuli alla Campania, mi si aprì un mondo nuovo comunque molto bello”.

Dopo l’esperienza all’ombra dell’Arechi, Louhenapessy ha giocato in Austria con lo del Schwartz-Weiß Bregenz e poi nuovamente in Italia con i dilettanti del Tamai, in provincia di Pordenone, con il Sevegliano e ancora tra i professionisti con la Carrarese prima di chiudere la sua carriera nel calcio a cinque.

Eli, oggi allenatore della formazione Allievi dell’Aurora Buonacquisto (Prima Categoria friulana), ricorda nitidamente alcuni aspetti della sua avventura con l’ippocampo sul petto: “Fu una stagione difficile, in panchina si alternarono Sonetti e Oddo e lottammo per non retrocedere. Il cambio in panchina non mi aiutò, anche perché il dover lottare per la salvezza spinse i mister, soprattutto Oddo, a preferire giocatori di maggiore esperienza. Ricordo che spesso non uscivamo perché c’era contestazione, andavamo in ritiro. A fine campionato però lo stesso Oddo mi disse che ero un buon giocatore e che gli dispiaceva di non avermi potuto fare giocare di più. Lo ricordo come una persona davvero tranquilla mentre Sonetti negli allenamenti era più duro e puntava tantissimo sulla tattica”.

In quella squadra c’erano tanti calciatori di carattere: “Ricordo Fusco, Zoro, Soviero, Melosi, Di Michele, Olivi. Erano dei compagni di squadra eccezionali ma i risultati non aiutavano e sentivamo la pressione dei tifosi che chiaramente erano scontenti. Vivevo in un parco con altri compagni e tutti erano molto disponibili, mi hanno sempre aiutato ma ripeto, i risultati non ci aiutarono. I tifosi mi riconoscevano e mi chiedevano l’autografo ma ricordo che lì capii come viene vissuto il calcio in Italia dove la partita non finisce mai, è quasi come una religione”.

Ancora oggi Louhenapessy cerca di spiegarsi il motivo del suo mancato exploit nel calcio: “Non ho sfondato per tanti motivi, facevo parte della generazione di Davids, Seedorf, Kluivert ma loro erano più forti di me. Non ero un giocatore affermato, ero agli inizi e passare dal calcio olandese a quello italiano ho sofferto molto i cambiamenti. In Olanda ci si allenava a mille per un’ora e mezza lavorando solo con la palla, qui invece gli allenamenti duravano anche tre ore, c’era tanto lavoro atletico e soprattutto tattico e quindi cambiai il mio modo di giocare. Poi trovai difficoltà a comunicare, parlavo inglese ma a Udine a quei tempi nessuno mi capiva”.

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