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Speranza o attesa (vana)? Calcio vuole evitare perdite e contenziosi, Gravina: “Ci blocchi il Governo”

figc

Il calcio temporeggia volontariamente. Piuttosto che dire basta autonomamente – una decisione che porterebbe a pesantissime ripercussioni economiche e legali – la Figc (e di conseguenza le leghe maggiori, quelle di A e B) porta avanti la sua linea di speranza. O attesa a oltranza. I campionati riprenderanno? Il dubbio è fortissimo e “nessuno è in grado di poter fare previsioni oggi per il 18 maggio (giorno che potrebbe sulla carta segnare la ripresa degli allenamenti in gruppo), figurarsi per metà giugno”, come ha ricordato più volte il ministro dello sport, Spadafora.

Insomma, il calcio è costretto ad accettare di vivere alla giornata e, almeno sotto i riflettori, non sembra intenzionato a voler pubblicizzare il “piano B” caldamente consigliato dal Governo. Gravina, presidente Figc, è stato ancora più chiaro ieri durante un webinar di aggiornamento organizzato dall’Ascoli: “Non firmerò mai per il blocco dei campionati, perché sarebbe la morte del calcio italiano. Io sto tutelando gli interessi di tutti, quindi mi rifiuto di mettere la firma ad un blocco totale, salvo condizioni oggettive, relative alla salute dei tesserati, allenatori, staff tecnici e addetti ai lavori. Ma qualcuno me lo deve dire in modo chiaro e mi deve impedire di andare avanti. Immaginate quanti contenziosi dovremmo affrontare in caso di stop? Chi viene promosso? Chi retrocede? Quali diritti andremo a calpestare? Tutti invocano il blocco, ce lo imponga il Governo, io rispetterò sempre le regole”. Il perché del tergiversare è abbastanza chiaro: se fosse il calcio a decidere autonomamente di fermarsi, fornirebbe sul piatto d’argento un assist alle parti lese (dalle singole società agli esclusivisti televisivi, passando per sponsor, associazioni di consumatori e quant’altro) che potrebbero adire le vie legali chiedendo maxi-rimborsi, sconti, promozioni a tavolino a seconda dei punti di vista. Esse potrebbero fare appello sul fatto che il Governo non ha ancora chiuso definitivamente la porta come fatto in Olanda o Francia, per cause di forza maggiore come la salute pubblica. Proprio un provvedimento superiore, nero su bianco, metterebbe il calcio al riparo da buona parte delle contestazioni. Gravina, velatamente, lo lascia intendere.

“Il tempo lavora a nostro favore, il danno economico è diviso per categorie: con la chiusura totale il sistema perderebbe 700-800 milioni di euro, se si dovesse giocare a porte chiuse la perdita sarebbe di 300 milioni, se si ripartisse a porte aperte la perdita ammonterebbe a 100-150 milioni, anche se quest’ultima ipotesi non è percorribile. Dobbiamo fare una riflessione: non è il caso di fare una riforma, intesa come modalità di sviluppo sostenibile e non solo per quanto riguarda il format playoff/playout? È questo il tema su cui dobbiamo concentrarci: siamo gli unici in Europa ad avere cento squadre professionistiche e non si possono più sostenere“, ha poi aggiunto il presidente federale. Il paradosso, però, è che se le condizioni non dovessero consentire di tornare in campo per la corrente stagione, il rischio serio sarebbe quello di dover ampliare i format dei campionati, bloccando le retrocessioni e consentendo comunque le promozioni con le classifiche cristallizzate all’interruzione. Sarebbe solo uno dei possibili scenari. Un altro potrebbe essere quello di… scontentare tutti. Entro il 25 maggio l’Uefa vuole conoscere dalle singole federazioni la scelte definitiva: chiudere o andare avanti? Se sì, con quali modalità? L’8 maggio il consiglio federale potrà dare indicazioni – si spera – più precise.

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