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Tutto Ribery: “Mi fa male lasciare così. Non ero pronto all’addio”

Ultimo giro di campo per Franck Ribery. Salernitana-Spezia è già storia prima di iniziare. E l’asso francese chiuderà ufficialmente la sua carriera da calciatore allo Stadio “Arechi”. Le emozioni, le sensazioni, un bilancio di questa lunga avventura, sono contenute in una intervista rilasciata alla Gazzetta dello Sport, in cui Ribery ripercorre le ultime giornate prima del comunicato: “Nell’ultima settimana ho pensato un po’ di più a questo momento, ma la verità è che non ci arrivo davvero preparato. Ancora tre mesi fa mi sentivo bene – spiega alla rosea – Un ritiro precampionato alla grande, poi le prime fitte al ginocchio dopo un triangolare a luglio. Alla prima di campionato contro la Roma ho giocato sul dolore. Non sono una persona fragile, ma per i 3 giorni successivi non sono riuscito a muovermi. I dottori hanno detto che la situazione era molto grave. Ho provato a recuperare. Non riuscivo a credere di essere costretto a smettere. Avrei voluto scegliere io quando dire basta”.

Invece l’addio. Ci saranno lacrime? “Invece il mio calcio è finito. Il giro di campo sarà un momento particolare e molto difficile. Ieri ho rivisto il video commemorativo della mia carriera, e ho pianto. Ho una mia sensibilità, un cuore. Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato, ma così è brutto. È successo tutto molto di fretta. Troppo. E mi fa male. La famiglia? No oggi non ci sarà. Ci avevo pensato, ma non voglio che mi vedano triste”.

Quando ha capito che era finita? “Meno di un mese fa sono andato a Monaco di Baviera per un consulto. Pensavo: forse si trova una soluzione. Invece dovrò operarmi, ma solo per riuscire a condurre una vita normale. Però, appena sono rientrato alla Salernitana, tutti mi hanno aiutato. Mi hanno chiesto di restare in qualsiasi altro ruolo avessi voluto. Questo mi è servito a non pensare troppo”.

Futuro sempre nel calcio: “Sono molto contento: in futuro vorrei allenare. Mi piace stare sul campo ed essere vicino alla squadra. Ai compagni ho detto che la cosa più difficile per me non era smettere, ma non poter aiutare loro tutti i giorni. Invece continuerò a farlo, in una città dove il calcio si vive come piace a me: con passione. E io sono innamorato del calcio. E poi il presidente Iervolino ha cambiato e sta cambiando le cose: si percepisce che c’è un progetto, una visione del futuro. Salerno merita grandi cose”.

L’ex compagno che vorrebbe al fianco nel giro d’onore? “Tanti: Alaba, Rafinha, Dante, Robben…”.

L’allenatore più importante? “Due: Jean Fernandez, con cui ho firmato il mio primo contratto da pro al Metz. Avevo 21 anni e mi ha trattato come un figlio. E poi Jupp Heynckes: con lui al Bayern abbiamo vinto tutto e tutti gli volevano bene”.

C’è una persona a cui deve dire grazie? “Alla mia famiglia”. E una a cui chiedere scusa? “Non c’è. Nella vita nessuno è perfetto,tutti sbagliamo. Ho avuto buoni rapporti con tutti”.

La partita simbolo della sua carriera? “La finale di Champions 2013, vinta col Borussia Dortmund”. Quella che vorrebbe rigiocare? “La finale-Champions persa ai rigori col Chelsea”.

Le sue squadre, le sue città: l’Olympique e Marsiglia. “Marsiglia è la prima dove ho lasciato un segno. La gente ha la tipica mentalità di una città del sud. Vive il calcio con una passione incredibile. Non è stato facile perché avevo tante pressioni addosso, ma lì la mia carriera ha avuto uno scatto in avanti”.

Il Bayern e Monaco. “Monaco e la Germania: mi sono trovato bene perché le persone sono rispettose, educate, vivono la loro vita senza guardare quella degli altri. Il Bayern? Una macchina di vittorie. Strutture e organizzazione: c’è tutto”.

La Fiorentina e Firenze. “Firenze somiglia a Salerno perché anche lì vivono per il calcio. Città bellissima, piena di turisti da tutto il mondo. Si mangia molto bene. Col club è finita come è finita, ma la Fiorentina è stata una bella esperienza. Peccato aver giocato quasi un anno senza tifosi a causa del Covid. Ma la gente mi ha voluto bene: sono uno che dal campo esce sempre con la maglia sudata”.

Il calciatore più forte con cui ha giocato? “Zidane. Con lui ho avuto la fortuna di disputare il Mondiale 2006. Era la mia prima volta in nazionale e, anche se abbiamo perso la finale contro voi, rimane esperienza indimenticabile”.

Cosa lascia al calcio Ribéry? “Tante cose, credo. Il mio stile di gioco, la mia mentalità, la mia fame. Sono uno venuto dalla strada, e forse oggi non sono più tanti che come me hanno il dribbling, il guizzo, la fantasia… Penso che sia questo che le persone ricorderanno del sottoscritto. Non posso diredi essere stato il migliore, ma certamente sono stato diverso”.

E che calcio lascia? “Noi siamo fortunati a fare questo lavoro che è gioco e passione. Venire tutti i giorni al campo ad allenarsi dev’essere un piacere. Oggi per i giovani a volte è troppo facile: girano più soldi, e coi soldi compri la bella macchina e altro ancora. E questo ogni tanto fa perdere il senso della misura. Perciò, vorrei dire loro: oh, amico, sai io dov’ero a 19 anni? Per la strada, in terza serie, dove non c’erano soldi, macchine, niente. Zero. Però ho lavorato, ho fatto sacrifici, e anche quando ho vinto tanti trofei che mi hanno fatto guadagnare tanti soldi, ho continuato ad avere la stessa fame. Ma certi valori non si possono trasmettere: stanno dentro di te. O ce li hai o no”.

In 22 anni di carriera c’è qualcosa che avrebbe voluto dire e non le è stato chiesto? (ride) “Quando ho voluto parlare, l’ho sempre fatto. E sempre per il bene del gruppo, perché io non sono egoista. Quando vedo le persone felici, sono contento. Ieri erano qui, all’allenamento, alcuni bambini malati oncologici. A uno di loro avevo mandato un video mentre stava in ospedale. Ci siamo incontrati, è scoppiato a piangere, mi ha abbracciato e non voleva più lasciarmi. Questa cosa per me non ha prezzo. Lui ricorderà per sempre quei momenti, e anch’io”.

Ribéry, lei è stato uno dei primi cinque giocatori al mondo? “Io? Sì”.

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