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“Noi ragazzi salernitani che sfidammo Maradona”: i ricordi di Enzo Leccese e Mario Manzo

C’erano due salernitani in campo con la maglia granata nell’estate del 1985 a sfidare il Napoli di Maradona. Un giovanissimo Mario Manzo, neppure maggiorenne e in campo dal primo minuto, e il più esperto Vincenzo Leccese, all’epoca alle soglie dei trent’anni, che subentrò a un quarto d’ora dalla fine. All’indomani della scomparsa del “Pibe de oro”, i ricordi di entrambi vanno a quella sera di trentacinque anni fa in coppa Italia. Finì 3-1 per i partenopei con doppietta dell’argentino.

“Roba da raccontare ai nipoti, quando ti ricapita? A fine partita io e Belluzzi gli chiedemmo una foto, fu cortese e ce la concesse (in alto – e accanto – a sinistra, mentre nella parte destra il 10 è in azione contro Franco Conforto, nda). Dispiace doverla rispolverare per un momento triste come questo. – afferma Leccese – Per un terzinaccio come me è stato un privilegio potersi misurare, tra molte virgolette, con uno come Maradona anche solo per un quarto d’ora. È stato bellissimo. Rientravo da un lungo infortunio quel giorno al San Paolo. In quegli anni era impetuoso, nettamente al di sopra di tutti. Sono molto amico di Beppe Bruscolotti, che ha vissuto Diego in maniera intensa, da vicino. Mi ha sempre parlato di un uomo generoso, dall’indole buona, oltre che estroso trascinatore. I campioni sono così, fanno la differenza. Qualsiasi sportivo è dispiaciuto per la morte di una persona che nel post-carriera avrebbe potuto avere di più. Lungi da me giudicare la sua vita privata, però quello che di importante ha raccolto in campo forse non è riuscito a ritrovarlo fuori”.

Manzo fece autogol quel 28 agosto al San Paolo. “Mi cadde il mondo addosso, ma è poi stato l’unico della mia carriera. Marcavo un giovanissimo Ciccio Baiano, che in quegli anni era mio compagno nelle Nazionali giovanili, però andai a chiudere su Bruno Giordano e diedi una ciabattata. – dice l’ex difensore classe 1967 – Nonostante tutto, ricordo ovviamente col sorriso quella serata: non c’era campanilismo, facemmo anche una discreta figura davanti a un sacco di gente, riuscendo a strappare qualche applauso. Eravamo una squadra costruita per vincere in C, anche se poi non andò come speravamo. Io ero un bimbetto, avevo solo 17 anni ed ero capellone come Maradona. Ricordo che fu proprio lui ad avvicinarmi e stringermi la mano all’ingresso, mentre stavamo per salire gli scalini che conducevano al  terreno di gioco. Lo faceva con tutti gli avversari. Aveva un fascino che rendeva tutto magico: immaginate un ragazzino salernitano, con la maglia della squadra della sua città, che saluta e poi affronta il Dio del calcio. Furono sensazioni incredibili, indimenticabili”. Manzo aggiunge che “Maradona ha attraversato, quasi unito due generazioni, il vecchio e il nuovo calcio. La sua scomparsa è stata un colpo. Credo che di lui debba rimanere quello che ha fatto nel calcio, perché nella vita privata forse ha seguito esempi sbagliati, si è fidato delle persone non giuste e qualcuno forse dietro il giocatore ci ha marciato. Da quel punto di vista è stato debole, ma non voglio fare moralismo: perché rovinare l’immagine di un campione con una seconda immagine che non compete? In fondo, parliamo di calcio”. E che calcio.

 

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