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Paulo Sousa al Liceo “Severi”: “Creatività per sviluppare i sogni. Volevo diventare un insegnante”

Paulo Sousa e i giovani, un legame che prosegue con un incontro svoltosi questo pomeriggio con gli studenti del liceo scientifico “Francesco Severi”. Il mister ha parlato di temi legati all’importanza dello sport per l’educazione dei giovani raccontandosi anche tra passato e presente rispondendo anche alle loro domande.

Sousa e l’importanza

«La cosa più bella della mia adolescenza è stato il garage di mio padre che era meccanico di motociclette, lavorava tantissimo anche nel weekend. Quell’odore di benzina mi affascinava tantissimo e mio papà smontava a montava i motori aveva grande capacità di smontare e rimettere tutto insieme. Approfittavo di quello spazio, con la mia creatività, per migliorare il mio palleggio. Sul tetto, per le scale e il muro dietro. Un pallone di plastica è stato il mio primo regalo che ho avuto. Sono andato per la prima volta dal dentista e ho ricevuto questo regalo, non c’era tv né internet, ho dovuto avere molta creatività, ho utilizzato il tetto per lanciare il pallone e calciare sul muro. Lì ho disegnato gli spazi dove volevo mirare. Ho iniziato a sfidare me stesso, girandomi e mettendo il pallone dove volevo. Dovevo salire e scendere scale il più veloce possibile per calciare, qualche volta sono finito all’ospedale. Questo non lo dimentico mai. Per dire l’importanza della creatività per sviluppare i sogni: da piccolo ho identificato il mio proposito e ho cercato di svilupparlo, non sapevo se l’avrei realizzato. La mia maestra elementare è stato il mio riferimento. I genitori uscivano alle 5 di mattina per lavorare, li vedevo solo a ora di cena, l’unico momento che avevo con loro. Volevo diventare anche maestro per questo. Oggi qualcosina in questo cerco di farla».

Scuola e insegnamento

«Il mio riferimento sono sempre stati i maestri e i professori, quest’ultimi perché sono quelli che educano i ragazzi in età giovani. I maestri sono quelli che riescono a capire gli alunni e li portano a tirare fuori le proprie capacità. Per questo servono più maestri e meno professori. Tutti quelli che hanno queste capacità devono essere aiutati ad essere maestri, ad aiutare i ragazzi. L’insegnamento deve essere guidato e non masticato. Non possiamo orientare tutto, dobbiamo insegnare ai giovani a scoprire le cose. I bambini possono non essere portati a delle cose ma ad altre, se riusciamo a cogliere questo potenziale possiamo aiutarli. E poi il denaro: potere e denaro distruggono il mondo: i giovani vanno educati a pianificare, a saper spendere. La scuola in questo può aiutare tanto le nuove generazioni. Scambi culturali sono importantissimi. Internet ci aiuta ma fisicamente si riesce a migliorare la crescita dei giovani. Incoraggiamoli a parlare le altre lingue, se riesci a parlare altre lingue capisci gli altri. Sono nato in un Paese in cui c’è mare solo da un lato. Siamo messi all’angolo ed è anche piccolo. Questo mi ha dato la possibilità, nelle difficoltà, di crescere. Tutti i film sono in lingua originale con sottotitoli, questo ti dà possibilità di approfondire la cultura».

Tre episodi di vita

«Mio papà ripeteva sempre la stessa cosa: rispettare gli altri, poi ho capito perché. Prima di chiedere rispetto dobbiamo rispettare gli altri. L’essere umano è egoista, se prendiamo l’iniziativa sugli altri sicuramente gli altri ci rispetteranno di più. Il dono della parola per me è stato fondamentale. Giocavo in una piccola squadra di Viseu, piccolo paese del nord del Portogallo. La mia squadra non aveva professionisti, era solo di settore giovanile. Dopo il primo anno in cui ho giocato a calcio, sono arrivati Benfica, Sporting e Porto. La prima il Benfica, ha parlato con mio papà, lui ha parlato con me e io gli ho detto che volevo giocare a calcio e sarebbe stata una buona opportunità. Papà ha dato la parola senza firmare nessun documento. Una settimana dopo è venuto il Porto e ci ha detto che se le cose non fossero andate bene a Lisbona il Porto sarebbe stato disponibile. Lo Sporting ha addirittura messo dei soldi sul conto dei miei genitori, più dei 25 anni di lavoro con cui avevano guadagnato, mio papà malato dello Sporting e gli hanno dato delle tute. Mio papà non è tornato indietro: aveva dato parola al Benfica e questo è stato un altro insegnamento».

Vita privata

«Il matrimonio mi ha aiutato a crescere tantissimo. Devi pianificare insieme. Ho passato tantissimo tempo da quando sono andato via di casa a 14 anni a prendere decisioni da solo e questo mi ha fatto crescere. Quando sono diventato allenatore sono cresciuto anche nella vita. Mi ha dato una spinta in più per conoscere meglio me stesso, analizzo più gli altri per cercare di migliorarli non solo tatticamente e tecnicamente ma anche come crescita di gruppo. La presenza fisica loro è fondamentale. Io sono papà, ogni coppia quando prende decisione di fare un figlio. Deve pensare sempre che bisognerà dedicare tempo ai figli. I miei genitori non hanno avuto questa opportunità. La presenza fisica non è importante, basta l’amore, provarlo e sentirlo naturalmente».

Il calcio

«Con i calciatori lavoro molto sull’attenzione, non è facile però per crescere nella vita dobbiamo essere focalizzati. Ero molto timido e questo mi ha portato a osservare tantissimo gli altri. Le squadre di calcio sono micro società dove devono esistere regole e disciplina. Tutti hanno una personalità e culture diverse dagli altri, con la globalizzazione del calcio ci sono giocatori di diverse nazionalità e tutti devono interagire. Serve buon senso e unità. Tanti pesci insieme rappresentano un banco. Li caratterizza l’unione. Da soli sarebbero in difficoltà: insieme sembrano un pesce enorme e riescono a intimidire i predatori. Si muovono sempre in sincronia. Unità non significa essere uguali ma che ciascuno rinuncia al proprio pensiero per camminare insieme con lo stesso obiettivo degli altri. È una questione molto seria per me, dovrebbe essere altrettanto per la società. È realizzabile solo con empatia, conoscendo bene l’altro che sicuramente avrà qualcosa che potrà aiutarci. Tolleranza, perdono, altruismo e amore: allo stadio sento sempre il modo in cui i tifosi sono insieme, ci fa sentire forte. E ne vale sempre la pena. Ho lavorato in Israele. Adoro una citazione ebraica: “Tu sei ciò che mi manca, nessuno vive bene da solo”».

Quale futuro della Salernitana nella prossima stagione

«Ci sarà sempre. Il futuro sono i tifosi, nient’altro. Quello che dobbiamo fare con la Salernitana. È la nostra vita. E la Salernitana è la nostra vita. Diverse persone riescono ad attraversare i fiumi perché riescono a identificare i punti più stretti per attraversarli. Altri nuotano e non arrivano. La famiglia e gli amici che ci supportano sono la corrente che ci aiuta ad arrivare sull’altra sponda. Dobbiamo ragionare: l’intuizione è importante ma dopo dobbiamo ragionare su come raggiungere strategicamente il nostro obiettivo».

Gruppo

«I cerchi è stato sentimento di unità dei giocatori, il senso di appartenenza per lasciare un po’ di noi stessi al gruppo con tutto quello che abbiamo. Nella mia prima settimana ho avuto l’occasione, durante l’allenamento, ho fermato la seduta per dire questo a uno dei giocatori influenti: qui non siamo io, siamo noi. Da lì c’è stato un cambiamento, tutti noi ci sentiamo protetti nel gruppo La mia frase preferita: “La domanda non è cosa dobbiamo fare, la domanda è perché non faccio quello che so che devo fare?”. Dobbiamo allenare costantemente il nostro cervello a non essere pigro».

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